PUNTOSUDIME di Daniela La Porta
Sono trascorsi 40 anni dalla Legge nota come Legge Basaglia, dal nome dello psichiatra che intraprese la più grande battaglia contro i manicomi e le condizioni disumane in cui versavano le persone in essi ricoverate.
«La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere»
Franco Basaglia
PRIMA e DOPO la Legge Basaglia
Il 13 maggio del 1978 la Legge 180, detta Legge Basaglia, introdusse una storico spartiacque fra il prima e il dopo un modo di concepire e di trattare la malattia mentale.
Basaglia è stato uno psichiatra e neurologo italiano, fondatore della concezione moderna della salute mentale, riformatore della disciplina psichiatrica in Italia che lottò contro il degrado ed il trattamento disumano riservato fino a quel momento ai ‘matti’, obbligati a vivere in veri e propri ‘lager’ dove veniva negato loro ogni diritto umano in virtù di una vecchia legge del 1904, che sanciva che dovesse finire in manicomio chiunque venisse ritenuto “pericoloso a sé e agli altri e di pubblico scandalo”.
Come ha impattato l’introduzione di questa legge sulle istituzioni, sul sistema di cura e sui pazienti? Qual’è attuale situazione a distanza di 40 anni in questo delicato ambito? Quali i risultati raggiunti e quali le cose ancora da fare?
Attraversando questi interrogativi cercheremo di comprendere i fatti di rilievo accaduti negli ultimi 40 anni nell’ambito della considerazione sociale, del trattamento e della cura dei malati psichiatrici.
Vi propongo l’indice degli argomenti trattati per una più semplice lettura di un argomento decisamente impegnativo.
La vita in manicomio
La battaglia di Franco Basaglia nelle sue parole
Legge approvata: cosa accade?
I risultati raggiunti dalla Legge 180 ad oggi
Testimonianze: un progetto innovativo
La chiusura del manicomio romano
Le alternative alla realtà manicomiale
I risultati raggiunti in favore dei pazienti
Per quale futuro e in che direzione impegnarsi
“L’impossibile può diventare possibile”
La vita in manicomio
Da sempre, il trattamento riservato ai pazienti con patologie mentali è stato diverso rispetto a quello dedicato alle persone con patologie fisiche.
Oltre alla stigmatizzazione delle patologie mentali con tutte le conseguenze che ne sono conseguite sul piano sociale e personale, è necessario ricordare che prima di Basaglia il malato mentale subiva la deprivazione di ogni diritto umano e ogni dignità.
La dottoressa Marina Livioni, attualmente psicoterapeuta della Comunità Maieusis di Capena che opera dal 1980 per la psicoterapia residenziale intensiva di giovani tra i 18 e i 32 anni con gravi disturbi psichiatrici, racconta la sua esperienza con i degenti dell’ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà.
Era lì che lavorava già 40 anni fa, vivendo in prima persona il difficile periodo del passaggio tra il prima e il dopo la Legge Basaglia.
La dottoressa fu anche protagonista attiva di uno dei primi progetti finalizzati alla ri-socializzazione dei pazienti psichiatrici.
L’accettazione in manicomio
La dottoressa Livioni descrive in cosa consisteva l’accettazione nel manicomio.
Il paziente veniva portato per lo più in ambulanza presso il manicomio, veniva ‘accolto’ in una stanzetta dove veniva denudato e privato di ogni cosa; veniva vestito con una ‘divisa‘ e portato nel suo letto, uno qualsiasi di uno stanzone anonimo.
Le pratiche per ‘calmarlo’ erano di natura contenitiva ed estremamente violente: i pazienti divenuti numeri venivano legati, bloccati con le camicie di forza e sottoposti a pratiche invasive di cui la più nota è l’elettroshock. La dottoressa Livioni mi racconta anche di un’altra macabra pratica di natura simile all’elettroschock: i pazienti venivano fatti pungere da particolari zanzare la cui puntura procurava a livello fisico uno shock simile a quello provocato dalle scariche elettriche.
L’assenza di cure
Il paziente psichiatrico oltre ad essere internato negli ospedali psichiatrici per tutta la vita, vivendo in orribili condizioni, non riceveva le cure necessarie ad un miglioramento della salute mentale e al suo reinserimento nella società.
Un miglioramento in direzione della cura si ebbe con la scoperta e l’impiego di farmaci di nuova generazione in grado di ridurre sintomi estremamente penosi.
La battaglia di Franco Basaglia nelle sue parole
«Dal momento in cui oltrepassa il muro dell’internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale ([…]); viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione.
Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell’individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell’internamento.
L’assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l’essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l’aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che – proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell’asilo».
Franco Basaglia
Foto di Raymond Depardon: fotografo che immortalò la realtà dei manicomi italiani della loro chiusura con la Legge Basaglia
Legge approvata: i principi di base
E’ il 13 maggio 1978: la Legge Basaglia è approvata.
I principi su cui si basa sono:
– la graduale chiusura dei manicomi;
– introduzione del trattamento sanitario volontario;
– assegnazione alle Regioni della responsabilità dell’attuazione del difficile passaggio dalla presenza dei manicomi alla loro chiusura.
Per conoscere nei dettagli la Legge Basaglia e la storia della riforma psichiatrica leggi l’articolo Quarant’anni di Legge Basaglia: il lungo percorso giuridico della riforma psichiatrica di Valentina Garofani
La chiusura dei manicomi non poteva avvenire dall’oggi al domani: dove sarebbero andati a finire i pazienti ricoverati? Chi se ne sarebbe preso cura? Quali istituzioni e in quali luoghi?
Legge approvata: cosa fare poi?
Servizi sul territorio
Innanzitutto era necessario creare servizi sul territorio che si occupassero di questi pazienti al di fuori dei manicomi, per indirizzarli in strutture adeguate a dargli le necessarie cure al fine di migliorare la qualità della loro vita, di favorirne la riabilitazione come persone ed il reinserimento nella società come cittadini, lavoratori nonché detentori di un reddito, cosa praticamente inimmaginabile allora come oggi, vista la situazione economica che nega il lavoro a molti, figuriamoci in condizioni di disturbo mentale!
Rivoluzione della mentalità
Creare strutture e servizi adeguati era indubbiamente indispensabile ma per fare questo si rendeva necessaria una vera rivoluzione nella mentalità non solo da parte della società e della politica ma anche da parte dei direttori dei manicomi che vedevano minacciato il loro potere ed i loro interessi economici, da parte dei sindacati che volevano difendere gli interessi di chi lavorava nei manicomi e, infine, dei familiari delle persone ricoverate, che erano fortemente spaventati perché temevano di non riuscire a gestire la situazione della persona cara malata, una volta uscita dal manicomio.
Accompagnare fuori i pazienti
Un altro aspetto da considerare riguarda le resistenze opposte dagli stessi ricoverati. Perché ‘accompagnare fuori‘ i pazienti? Bisogna considerare che per i pazienti chiusi in manicomio da 20/30 anni o più, le cose non erano così semplici: per questi pazienti ‘entrare fuori’ era estremamente difficile. Possiamo solo immaginare quanto potesse essere temibile e preoccupante per i pazienti ‘entrare in città’ ovvero ritornare in quello stesso luogo che tanti anni prima li aveva espulsi e dimenticati e che ad un certo punto, solo perché ‘qualcuno’ aveva deciso di chiudere i manicomi, avrebbe dovuto riaccoglierlo, togliendogli l’unica sicurezza, per quanto degradante e disumana, che aveva avuto fino a quel momento.
In questa cruda realtà tutto si è mosso con minuscoli passi di formica che si sono alternati a periodi di totale stasi e periodi di speranza grazie alla creazione di alternative ai manicomi e all’attivazione di progetti reinserimento dei malati nella società
I risultati raggiunti con la Legge 180
Le alternative alla realtà manicomiale
Negli anni immediatamente successivi alla Legge non si videro grandi risultati.
La rete dei servizi sul territorio era del tutto assente e nei primi anni dopo l’emanazione della Legge Basaglia il rischio che molti manicomi già chiusi venissero riaperti era alto. Le Regioni si rivelarono del tutto impreparate a gestire un cambiamento così grande. La qualità dei servizi per la cura fuori dagli ospedali psichiatrici risultò per lungo tempo molto bassa sebbene furono create nuove realtà di cura.
Come alternativa ai manicomi:
– Centri di Salute Mentale, creati all’interno del SSN (la cui istituzione risale anch’essa al 1978), primo riferimento per i cittadini, con il compito di coordinare nell’ambito territoriale tutti gli interventi di prevenzione, cura, riabilitazione dei cittadini con patologie psichiatriche;
–comunità e case di cura private, preesistenti alla Legge Basaglia, divenute poi convenzionate e/o accreditate;
(In foto la comunità Maieusis di Capena)
– costituzione all’interno degli ospedali di specifiche unità operative (SPDC – Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) dedicate alla cura e all’assistenza delle persone con disturbo psichico critico e grave, con la finalità di garantire sia i ricoveri volontari che quelli in Trattamento Sanitario Obbligatorio, nei casi previsti dalla legge.
Progetti di reinserimento sociale di pazienti psichiatrici
Progetti molto innovativi furono inoltre realizzati fin dall’inizio degli anni ’80. A uno di questi progetti ha partecipato la dottoressa Marina Livioni: un progetto nato su iniziativa dei nascenti centri di salute mentale da un lato e dell’asl di competenza del S. Maria della Pietà dall’altro e finanziato per metà dalla Regione Lazio e per metà con finanziamenti europei.
Si trattava di un progetto di de-istituzionalizzazione dei pazienti psichiatrici. L’obiettivo del progetto consisteva nel ‘portare fuori’ dal manicomio 70 pazienti.
Un vero salto in avanti e una conquista inimmaginabile per l’epoca: il progetto prendeva le mosse dalla riforma di Basaglia e dal suo modo di vedere, curare, trattare e risocializzare il malato mentale.
Le attività del progetto consistevano: nella formazione e nel reinserimento sociale attraverso la costituzione di laboratori istituiti presso istituti religiosi esterni ospitanti i pazienti e gli operatori: laboratori di cuoio, ceramica, falegnameria, termoidraulica e maglieria; in attività risocializzanti come le prime uscite dalla struttura (ad esempio in occasione dell’Estate Romana) e i primi soggiorni estivi; nel reinserimento abitativo e nel reinserimento lavorativo.
La chiusura del nosocomio romano
La chiusura dell’ultimo manicomio in Italia, il Santa Maria della Pietà è avvenuta alla fine del 1999. Qualche numero per afferrare a pieno il lento ma alla fine efficace movimento verso l’attuazione della Legge 180: nel 1978 erano ancora presenti 1076 ricoverati. Fino agli anni 90-95 la riduzione dei ricoverati era per lo più dovuta ai decessi. Dei 206 pazienti ancora ricoverati all’inizio del 1996 nel triennio seguente soltanto 6 sono deceduti, gli altri sono stati dimessi ed inseriti in strutture residenziali esterne: ci sono voluti 20 anni per chiudere definitivamente la struttura.
I risultati raggiunti in favore dei pazienti
Quali i risultati raggiunti dal punto di vista dei pazienti psichiatrici, delle loro famiglie e della società intera?
La Legge Basaglia indubbiamente ha costituito una vera e propria rivoluzione culturale sociale e medica.
Dalla creazione dei manicomi nati per non vedere letteralmente la malattia mentale e per mettere fuori persone scomode più che pericolose o di scandalo sono stati compiuti importanti passi in avanti.
Rispetto per la malattia mentale
La malattia mentale fa ancora tanta paura e suscita ancora un bisogno di distanza e pena. Tuttavia si coglie un rispetto verso la patologia mentale assolutamente non contemplato quaranta anni fa.
Passi in avanti rispetto allo stigma della malattia mentale
Lo stigma della malattia mentale non si può dire del tutto annullato ma di certo si presenta molto lontano da quello che dilagava nella società nel secolo scorso: la ‘follia’ non era proprio concepita né tanto meno accettata; le persone con disturbi psichici erano semplicemente ‘pazzi e pericolosi’ e da rinchiudere nei manicomi ovvero le ‘gabbie dei matti’.
Nessuno si preoccupava di pensare e di vedere che si stava parlando di persone bisognose di cura e non si poneva il problema del loro reingresso nella società.
Benché ancora oggi continuiamo a sperimentare la paura nei confronti del diverso e di ciò che non si conosce e non si comprende, si può certamente affermare che molte cose sono cambiate.
Visione integrata del modello di cura della malattia mentale
E’ ormai fuor di dubbio il fatto che la patologia mentale vada trattata con un approccio personalizzato e integrato. Approccio personalizzato vuol dire che è necessario prevedere un intervento mirato al singolo paziente ed alle sue specifiche peculiarità. Modello integrato significa includere diverse figure nella cura dei pazienti psichiatrici, comprese figure deputate al loro reinserimento sociale. Come vedremo, nella parte dedicata alle ‘cose ancora da fare’, oltre alla posizione piuttosto condivisa su questi punti è ancora grande l’impegno da mettere in campo per realizzare questo tipo di realtà di cura ed intervento.
Sensibilizzazione sul tema malattia mentale
Tra i cambiamenti si rileva oggi una elevata attenzione a questi temi ed una maggiore diffusione di informazioni sui disturbi mentali che sta con lentezza ma anche con potenza entrando nell’immaginario collettivo e nelle realtà con cui la società deve confrontarsi. Si riscontra una indubbia sensibilità e crescente apertura rispetto al tema della salute mentale oltre che fisica, nonostante le resistenze e i retaggi del passato.
Per quale futuro e in che direzione impegnarsi?
Il futuro per cui lavorare è quello dei pazienti e di tutti coloro che soffrono, consapevoli o meno, di un disturbo mentale
La cura dei pazienti psichiatrici oggi richiede una visione personalizzata, multidisciplinare e integrata sotto diversi aspetti, in particolare:
– personalizzata, nel senso che il paziente va trattato come persona unica e irripetibile che soffre di un disturbo che deve essere curato attraverso un trattamento psicoterapeutico e farmacologico adattato alle sue specifiche esigenze;
– multidisciplinare, dal punto di vista delle professioni sanitarie coinvolte nel processo di cura (psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, infermieri, medici internisti, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione);
– integrata, dal punto di vista del raccordo tra istituzioni che devono mettere a disposizione le strutture idonee alle cure e figure all’interno delle strutture stesse e fuori di esse il cui obiettivo finale deve essere il reinserimento nella società delle persone con disagi psichici.
C’è ancora tanto da fare ma le direzioni verso cui andare sono ben definite.
Tenuto conto delle loro specifiche caratteristiche, talenti e possibilità, bisogna accompagnare i pazienti in un percorso di cura e di riabilitazione fino al reinserimento nella società che significa riconquista di una vita autonoma, di un lavoro e guadagno di un reddito.
Come i malati così le loro famiglie devono essere accolte e guidate: non vanno mai lasciante da sole, perché solitudine vuol dire disperazione
E’ fondamentale lavorare trasmettendo un chiaro messaggio di speranza per un futuro possibile.
“L’impossibile può diventare possibile”
Tra le tante iniziative che si svolgeranno in occasione della ricorrenza del quarantenario dalla Legge Basaglia interessante l’iniziativa del Consorzio Cascina Clarabella, appartenente alla rete Agricoltura Sociale Lombardia, che promuoverà il convegno di carattere nazionale dal titolo “L’impossibile può diventare possibile – Territori ancora capaci di inclusione”.
Il convegno si terrà dal 10 al 13 maggio nella suggestiva cornice del Lago di Iseo all’intero dell’Aula Magna dell’Istituto Antonietti.
Sarà caratterizzato da un’articolata proposta che comprende incontri, workshop, conversazioni con i principali esponenti dei contesti che si prendono cura dell’umano: i servizi sociali e sanitari, la scuola e l’educazione, la politica e l’economia.
“Il convegno è l’occasione per riunire tutti e tutte coloro che ogni giorno si interrogano sull’eredità di Basaglia, per capire come dare gambe a un lavoro sociale ed educativo fondato sulla partecipazione diretta degli interessati (pazienti e familiari), sul coinvolgimento delle comunità locali, sulla rigenerazione di tessuti sociali, culturali, politici ed economici [..]”
Aspettiamo con fiducia ciò che emergerà da queste quattro giornate in cui si parlerà di speranza e di futuro migliore per la patologia mentale e ci si interrogherà su come lavorare insieme per una società più pronta ad accogliere sotto tutti i punti di vista le persone che soffrono di disturbi mentali.
Cari lettori,
innanzitutto desidero dedicare un particolare ringraziamento alla psicoterapeuta Marina Livioni per la sua preziosa testimonianza e le sue generose spiegazioni. Un altro sentito ringraziamento va alla fotografa Ilaria Milano che ha prodotto tutte le immagini scattate appositamente per questo articolo presso la struttura Santa Maria della Pietà.
Vi confesso che la stesura di questo articolo è stata particolarmente ardua. L’argomento è difficile e impegnativo, non solo dal punto di vista delle informazioni da raccogliere e strutturare, ma anche dal punto di vista del peso emotivo che ho sperimentato nel vedere più da vicino le realtà che vi ho descritto, attraverso lo studio e l’ascolto di più testimonianze che mi hanno reso possibile coinvolgervi su questo scottante tema.
Invito tutti voi a utilizzare questo spazio per porre domande e fare riflessioni. Saranno certamente utili per tutti.
Vi ringrazio anticipatamente!
A presto!
Daniela La Porta
Email: danielalaportapsi@gmail.com
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