DIRITTO AL PUNTO di Valentina Garofani
Il duemiladiciotto porta con sé una ricorrenza che parla di una grande rivoluzione sociale, culturale e giuridica tutta italiana: quarant’anni della legge 180/1978, recante disposizioni in materia di “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, che ha preso il nome dallo psichiatra e promotore Franco Basaglia
Era il 13 maggio 1978. Il Parlamento Italiano, nella persona dell’estensore, medico e politico Bruno Orsini, vara la legge che ha reso possibile, attraverso una lunga e travagliata attuazione, la chiusura di tutti i manicomi presenti sul territorio nazionale, la regolamentazione del Trattamento Sanitario Obbligatorio per le persone affette da disturbi psichiatrici, nonché la previsione di un provvedimento futuro che istituisse il Servizio Sanitario Nazionale (legge 833/78).
Oltre a rappresentare il punto di arrivo di un lungo percorso, la riforma psichiatrica ha fatto dell’Italia l’antesignano di un cambiamento del quale ancora oggi detiene il primato internazionale e con il quale ha restituito un posto nella realtà sociale ai malati psichiatrici con il superamento del sistema manicomiale e custodiale.
Bilanciando la tutela del diritto fondamentale alla salute dell’individuo – inteso come interesse della collettività – con il rispetto della libertà e della dignità della persona umana, la riforma ha segnato l’epocale cambiamento di rotta con il precedente assetto dettato dalla legge Giolitti sul tema dell’assistenza delle persone affette da disturbi psichici.
Prima di passare all’analisi delle tappe della produzione normativa sulla salute mentale, occorre necessariamente tracciare una distinzione tra persone affette da disturbo psichiatrico e persone affette da disturbo psichiatrico autori di reati, di cui ci occuperemo in particolare.
Nel diritto penale, il malato psichiatrico, in quanto affetto da vizio di mente (limitazione o assenza della capacità di intendere e di volere) non può ritenersi colpevole del reato commesso perchè non in grado di capire nè di volere il fatto e le sue conseguenze; lo stesso può, e deve, essere curato in apposite strutture terapeutiche in virtù della sua possibile e dichiarata pericolosità sociale.
Profili giuridici della riforma tra passato e presente
Dal Codice Zanardelli alla legge Giolitti: il sistema manicomiale repressivo e custodiale
Sino ai primi anni del ‘900 non esisteva in Italia una regolamentazione unitaria per la cura delle malattie psichiatriche, pur essendo presenti sul territorio ben oltre 120 strutture dedicate all’assistenza dei pazienti ed avviate gradualmente in seguito all’unificazione del Paese. Accanto alle strutture manicomiali c.d. comuni, furono concepite anche quelle di detenzione dei pazienti infermi di mente autori di reati, pertanto non imputabili.
E’ importante tornare a ricordare che nel nostro ordinamento, dal Codice Zanardelli ad oggi, il vizio di mente totale o parziale è considerato una causa di esclusione della imputabilità.
La concezione altamente repressiva nei riguardi delle persone affette da disturbi mentali che si fossero rese colpevoli di reato, portò al sempre più frequente internamento dei pazienti piuttosto che all’assistenza ed alla cura degli stessi.
Secondo le teorie penalistiche dell’epoca, coloro che venivano considerati pericolosi socialmente o colpevoli di aver commesso reati in “stato di follia”, non essendo imputabili o punibili non potevano essere detenuti in carcere poiché necessitanti di cure, e venivano quindi ricoverati in manicomio.
Ma tali strutture in realtà non offrivano cure, mortificando i pazienti e spesso torturandoli brutalmente.
Si cominciò a delineare l’aberrante teoria della convivenza funzionale di cura e custodia.
Il Codice Zanardelli del 1900 stabilì che “in caso di reato commesso in stato di infermità mentale tale da togliere la coscienza o la libertà dei propri atti, l’individuo, seppure prosciolto perché non punibile, poteva essere consegnato all’autorità di pubblica sicurezza, laddove il giudice ne avesse stimato pericolosa la liberazione”
L’autorità competente provvedeva in seguito al ricovero provvisorio in un manicomio in stato di osservazione e, se dopo tale periodo la prognosi di pericolosità veniva confermata, il giudice ne ordinava il ricovero definitivo.
In quest’ottica di perfezionamento della normazione, nel febbraio 1904 venne promulgata la legge n. 36, detta anche Legge Giolitti, che istituì il ricovero coattivo e, per la prima volta dopo l’unificazione, il Governo italiano adottò un provvedimento che regolamentasse il triste scenario degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
La legge si componeva di pochissimi articoli, lasciando la gran parte della regolamentazione alla normativa di attuazione, dai quali emergeva la forte funzione custodiale dell’istituzione manicomiale civile (non prevedeva il ricovero volontario non era previsto, la procedura di ammissione si avviava solo nei confronti di quei soggetti che fossero risultati pericolosi o di pubblico scandalo).
Gli istituti manicomiali di matrice giolittiana, hanno da subito acquisito un ruolo repressivo ed emarginante, in quanto la malattia mentale era espressamente connessa alla pericolosità sociale.
Ciò perché la Legge Giolitti connotava in modo molto netto la psichiatria nella sua funzione di controllo sociale e sanciva oltretutto la delega al Direttore del Manicomio, cui era attribuito il potere di decidere autonomamente ingressi e dimissioni dei pazienti, vale a dire della salute e del destino sociale di molte persone.
Già da allora emersero aspre critiche da parte di numerosi giuristi secondo i quali tale legge metteva a rischio senza mezze misure le libertà personali e la dignità dei cittadini.
Inasprimento della normativa in tema di salute mentale: l’avvento del Codice Rocco e le misure di sicurezza
Nel 1930, con l’avvento del Codice Rocco, il codice penale ancora oggi in vigore, fu istituita la detenzione in OPG, Ospedali Psichiatrici Giudiziari, come misura di sicurezza (cautelare) per coloro che, infermi di mente, avessero commesso reati e fossero stati dichiarati socialmente pericolosi.
Una mera misura cautelare alla stregua delle misure di sicurezza ordinarie, mascherata però dalla ricorrente aberrante duplice funzione di “cura e custodia”. È evidente la contraddizione in termini di tale teoria.
Nella visione punitiva e repressiva dell’allora novello Codice Rocco cura e custodia apparivano perfettamente compatibili. La funzione terapeutica e quella di sicurezza sociale si fondevano in questa istituzione, ove ogni tipo di violenza ed aberrazione poteva trovarsi giustificata da intenzioni terapeutiche.
Ebbene, preme sottolineare che in un’ottica attuale di garantismo risulta assai paradossale stabilire una connessione funzionale tra provvedimenti terapeutici e custodiali, che rispondano unicamente ad una esigenza generale di difesa sociale.
La rivoluzione, Mariotti e Basaglia: la riforma psichiatrica ancora in oggi in evoluzione
In un clima di intolleranza e repressione nei confronti delle persone affette da disturbo psichiatrico, le disposizioni della legge Giolitti in combinato con il Codice Rocco, seppur avversate da forti critiche in campo medico e giuridico, sopravvissero per oltre trent’anni prima di vedersi opporre delle concrete iniziative di riforma.
Negli anni sessanta cominciò a spirare il vento del cambiamento a causa del collasso raggiunto dai manicomi in Italia e dalle condizioni indegne in cui versavano i pazienti di molte strutture.
Si cominciò a concretizzare la necessità di privilegiare la terapia e la cura in alternativa alla custodia in una visione di risocializzazione del malato psichiatrico, fosse esso soggetto ad una infermità comune o colpevole di qualsivoglia reato.
Fu la legge Mariotti, n. 431 del 1968, a stabilire per prima il preminente approccio terapeutico alla condizione del malato psichiatrico, modificando l’organizzazione e le condizioni delle strutture manicomiali sia da un punto di vista pratico, ad es. stabilendo un numero massimo di pazienti, che da un punto di vista professionale con la previsione della presenza di figure professionali specializzate, mediche e sanitarie, del tutto nuove quali psicologi, assistenti sociali, assistenti sanitari.
Mariotti segnò la strada per Basaglia, istituendo il ricovero volontario su richiesta del paziente e, finalmente, aprì le porte alla possibilità di ricevere assistenza e cura psichiatrica anche fuori dalle strutture manicomiali istituendo i CIM, Centri di Igiene Mentale, ed i Centri di assistenza psichiatrica e geriatrica.
Nel solco della legge Mariotti si innestano più di una istanza riformista: la proposta di referendum del partito radicale per l‘abolizione dei manicomi e la proposta di abrogazione dell’ancora vigente legge Giolitti per la istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
Fu solo con la legge Basaglia, n. 180 del 1978, che tutte le istanze di tutela della salute della libertà e della dignità del malato furono realizzate.
- I tratti salienti della riforma restano sintetizzati nell’articolo 1 del provvedimento.
“Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari. Nei casi di cui per legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono e essere disposti dall’autorità sanitaria nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura.
Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori a carico dello Stato e di enti ed istituzioni pubbliche sono attuati dai presidi sanitari pubblici territoriali e, ove necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate. Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio chi vi è sottoposto ha diritto a comunicare con chi ritenga opportuno.
Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori di cui ai precedenti commi devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione di chi vi è obbligato.
Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del sindaco, nella sua qualità di autorità sanitaria locale, su proposta motivata di un medico.”
Finalmente, dopo circa un secolo, tornano al centro della tutela giuridica il rispetto della dignità umana e dei diritti civili e politici dei cittadini; il diritto alla salute considerato come volontà del malato o dei familiari dello stesso di farsi assistere ed aiutare; il diritto del paziente di poter comunicare con l’esterno e con la propria famiglia, di socializzare e di non essere più solo; la statalizzazione delle strutture che offrono un servizio di cura ed assistenza gratuito e pubblico in ossequio al diritto alla salute costituzionalmente garantito.
- La regionalizzazione prevista dall’art. 7
Di peculiare importanza innovativa è stato il trasferimento alle regioni delle funzioni in materia di assistenza ospedaliera psichiatrica previsto dall’art. 7 della legge.
“A decorrere dall’entrata in vigore della presente legge le funzioni amministrative concernenti l’assistenza psichiatrica in condizioni di degenza ospedaliera, già esercitate dalle province, sono trasferite, per i territori di loro competenza, alle regioni ordinarie e a statuto speciale. resta ferma l’attuale competenza delle province autonome di Trento e Bolzano.
. L ‘assistenza ospedaliera disciplinata dagli artt.12 e 13 del decreto-legge 8 luglio 1974, n°264, convertito con modificazioni nella legge 17 agosto 1974, n°386, comprende i ricoveri ospedalieri per alterazioni psichiche. Restano ferme fino al 31 dicembre 1978 le disposizioni vigenti in ordine alla competenza della spesa.
· A decorrere dall’entrata in vigore della presente legge le regioni esercitano anche nei confronti degli ospedali psichiatrici le funzioni che svolgono nei confronti degli altri ospedali.
· Sino alla data di entrata in vigore della riforma sanitaria e comunque non oltre il 1° gennaio del 1979, le province continuano ad esercitare le funzioni amministrative relative alla gestione degli ospedali psichiatrici e di ogni altra funzione riguardante i servizi psichiatrici e di igiene mentale.
· Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano programmano e coordinano l’organizzazione dei presidi e dei servizi psichiatrici e di igiene mentale con le altre strutture sanitarie operanti nel territorio e attuano il graduale superamento degli ospedali psichiatrici e la diversa utilizzazione delle strutture esistenti e di quelle in via di completamento tali iniziative non possono comportare maggiori oneri per i bilanci delle amministrazioni provinciali .
· E’ in ogni caso vietato costruire nuovi ospedali psichiatrici, utilizzare quelli attualmente esistenti come divisioni specialistiche psichiatriche di ospedali generali o sezioni psichiatriche e utilizzare come tali divisioni o sezioni neurologiche o neuropsichiatriche.
· Agli ospedali psichiatrici dipendenti dalle amministrazioni provinciali o da altri enti pubblici o dalle istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza si applicano i divieti di cui all’art. 6 del decreto-legge 29 dicembre 1977, n°946, convertito con modificazioni nella legge 27 febbraio 1978, n° 43.
· Ai servizi psichiatrici di diagnosi e cura degli ospedali generali, di cui all’art. 6, è addetto personale degli ospedali psichiatrici e dei servizi e presidi psichiatrici pubblici extraospedalieri.
· I rapporti tra le province, gli enti ospedalieri e le altre strutture di ricovero e cura sono regolati da apposite convenzioni, conformi ad uno schema tipo, da approvare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del ministro della sanità di intesa con le regioni e l’Unione delle province d’Italia e sentite, per quanto riguarda i problemi del personale, le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative,
· Lo schema tipo di convenzione dovrà disciplinare tra l’altro il collegamento organico e funzionale di cui al quarto comma dell’art. 6, i rapporti finanziari tra le province e gli istituti di ricovero e l’impiego, anche mediante comando, del personale di cui all’ottavo comma del presente articolo. Con decorrenza del 1° gennaio 1979 in sede di rinnovo contrattuale saranno stabilite norme per la graduale omogeneizzazione tra il trattamento economico del personale degli ospedali psichiatrici pubblici e gli istituti normativi di carattere economico delle corrispondenti categorie del personale degli enti ospedalieri”
La legge 180 ha provveduto a delegare alle Regioni l’attuazione delle proprie disposizioni.
Dalle Province la funzione amministrativa viene trasferita alle Regioni per una più ordinata organizzazione sempre vicina alle istanze del malato nel suo territorio di residenza o dimora.
Tale intervento era infatti finalizzato al funzionamento e ad una distribuzione omogenea delle strutture sul territorio.
Alcune Regioni hanno emanato tempestivamente provvedimenti regionali, altre hanno impiegato più tempo.
Il percorso si è rivelato lento e travagliato tanto che si è verificata in Italia una situazione a macchia di leopardo non solo per la quantità dei servizi erogati, ma soprattutto per la qualità.
Solo nel 1994, è stato avviato un progetto per una riorganizzazione sistematica dei servizi preposti all’assistenza psichiatrica.
Il processo di chiusura dei manicomi si è concluso oltre vent’anni dopo l’entrata in vigore della legge, nel 1997 e nei primi anni ottanta è cominciato lo sviluppo dei servizi territoriali.
Oggi il territorio nazionale è coperto da 183 Dipartimenti di Salute Mentale, rete di servizi organizzata in livelli di assistenza che prevedono servizi ambulatoriali, servizi di assistenza domiciliare, strutture residenziali e semiresidenziali e gli Spdc, Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura.
LA CONDIZIONE ATTUALE DEGLI INFERMI DI MENTE AUTORI DI REATI
Ribaltamento da detenzione di malati come rei, a malati rei come pazienti da curare
La abolizione dei manicomi non corrispondeva però alla abolizione degli OPG in Italia. Ciò ha determinato il sorgere, dagli anni ottanta in poi, di una critica profonda correlata alla emanazione di sentenze da parte della Corte Costituzionale sulla legittimità o meno delle misure di sicurezza e della concezione codicistica della pericolosità sociale, metro di riferimento non più attuale della malattia mentale e del trattamento del soggetto che ne soffre.
Gli ospedali Psichiatrici Giudiziari sono sopravvissuti fino a che la disciplina della pericolosità sociale è stata modificata grazie all’intervento della Corte Costituzionale in tema di presunzioni di pericolosità sociale.
La strada è stata lunga e tortuosa.
Con la sentenza 253 del 2003 la Corte Costituzionale ha sancito la fine dell’automatismo che vedeva, per il soggetto adulto infermo di mente e socialmente pericoloso applicata sempre la misura del ricovero in ospedale psichiatrico.
Dopo numerosi interventi legislativi, solo con il decreto legge n. 52 del 2014 è stato fissato il termine ultimo per il definitivo per la chiusura degli OPG da parte delle singole regioni fissato per il 31 marzo del 2015.
Ad oggi per i malati psichiatrici autori di reati, il giudice ha l’obbligo di disporre la custodia in un luogo di cura, salvo che nessun’altra misura risulti idonea per le esigenze terapeutiche del malato.
Quanto qui affrontato in tema di riforma psichiatrica, non può considerarsi esaustivo dal punto di vista dell’ulteriore perfezionamento di questa grande rivoluzione culturale, ad oggi ancora in corso.
Può però aiutare a capire quanto la dignità umana sia stata ricollocata al centro delle esigenze normative del nostro ordinamento, nel quale la salute e l’assistenza sanitaria sono quotidianamente poste in discussione in un clima di aspra polemica.
Di seguito una importante intervista al ministro Bruno Orsini, estensore della legge in qualità di tecnico della materia medica.
Per meglio comprendere i fatti di rilievo accaduti negli ultimi 40 anni nell’ambito della considerazione sociale, del trattamento e della cura dei malati psichiatrici, vi invito a leggere Quarant’anni dalla Legge Basaglia di Daniela La Porta