Il testo di “L’anno che verrà” fa risplendere la magia del Natale con le luminarie nel centro di Bologna… anche se…con un piccolo errore
Bologna- a 40 anni dall’uscita della canzone che ha consacrato Lucio Dalla come uno dei maggiori esponenti del panorama musicale italiano e a 50 dalla pedonalizzazione di Via Massimo D’Azeglio, dove egli stesso ha vissuto al numero 15 per tanto tempo, la città lo ricorda con affetto facendo risplendere il testo di “L’anno che verrà” tra le sue luminarie natalizie.
Un augurio per un 2019 all’insegna della filantropia, della condivisione e allo stesso tempo un invito a continuare a sperare: era questo del resto il messaggio che Dalla voleva lasciare ai suoi ascoltatori all’uscita dell’Italia dagli anni di piombo alla fine degli anni’70.
Certo però non faceva parte del testo originale l’errore di ortografia che compare nel secondo dei 23 blocchi di luci che aleggiano sulla via accanto la Basilica di San Petronio.
Si tratta di un po’ accentato anziché apostrofato che non appena l’installazione è stata inaugurata i primi di dicembre ha fatto più “notizia” che la notizia del tributo stesso al cantante su tutte le testate giornalistiche in rete.
La quantità di articoli che si possono leggere a riguardo è molto più consistente di quanto quel piccolo errore non sia stato agli occhi dei cittadini bolognesi: tra sorrisi di commozione e scatti, chi in gruppo chi con un Selfie, chi addirittura dalla cima di una colonna nel tentativo di immortalare quel momento così magico in cui all’improvviso le parole della canzone hanno illuminato la piazza era davvero impossibile udire critiche verso un errore che sì, si poteva evitare, ma che di certo non avrebbe potuto compromettere il profondo senso di quella canzone.
Niente, se non l’eco della sua melodia, sembrava di udire tra quanti invece si trovavano lì sotto a condividere, assieme al ricordo del cantante deceduto qualche anno fa, la magia dello spirito natalizio.
L’idea di illuminare con la canzone
Ad organizzare l’iniziativa è stato il Consorzio dei commercianti di Via D’Azeglio con la Fondazione Lucio Dalla e il patrocinio del comune di Bologna, che hanno commissionato l’installazione luminosa all’artigiano napoletano Antonio Spiezia, collaboratore della fondazione Seven Arts.
“Vogliamo raccogliere sotto quelle parole un senso di incontro autentico tra le persone e infondere speranza per il futuro”
spiega nelle note ufficiali, Tiziano Corbelli, che della Seven Arts è il direttore artistico e aveva già illuminato il quartiere Sanità a Napoli con alcune frasi della poesia “Core Analfabeta” di Totò.
Tiziano Corbelli ha già lavorato con la Fondazione Dalla, da questo nasce la collaborazione con i commercianti.
Inoltre esiste un filo sottile che lega idealmente Napoli a Bologna e Totò simbolo di Napoli a Lucio Dalla simbolo di questa città.
Il testo di “Caro amico ti scrivo”
Lucio Dalla scrive la canzone nel 1978 come una lettera che indirizza ad un amico lontano e nella quale gli racconta un po’ della realtà che lo circonda:
“Si esce poco la sera
Compreso quando è festa
E c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra
E si sta senza parlare per intere settimane
E a quelli che hanno niente da dire del tempo ne rimane”
Il terrorismo politico degli anni ’70, culminato nell’assassinio di Aldo Moro e nella strage della ferrovia di Bologna ha reso sempre più netto il confine tra le persone fino a suggellarle entro le barriere della paura nei confronti dell’altro e gettarle in una condizione di isolamento. Fin dall’incipit allora, forse il più famoso della storia della musica italiana, Dalla si propone di rompere quella barriera immaginando di indirizzare il suo racconto a un amico: proprio dietro il simbolo dell’amicizia ricompone il popolo italiano pian piano ferito e slegato dal clima di paura.
Il messaggio di speranza
Il messaggio che Dalla voleva lasciare con quell’indimenticabile ritornello “Caro amico ti scrivo” era chiaro ai suoi contemporanei così come ai suoi compatrioti.
Chiaro a coloro che quel giorno trovavano di nuovo a rivivere quella melodia senza nemmeno far caso all’accento sul po’, che tra l’altro la mattina dopo era di nuovo un apostrofo.
E lo troviamo nelle parole che lascia al suo amico nel testo della canzone.